Il 26 agosto 1959 la stampa specializzata viene convocata per il lancio della Mini al Fvrde, Centro ricerca e sviluppo per veicoli militari, gestito dal ministero della Difesa a Chobham, nel Surrey. Molti giornalisti ritengono che la vettura non sia paragonabile ad altri modelli per il semplice fatto che appare diversa da quanto visto fino a quel momento. Insomma, è una rivoluzione nel panorama automobilistico europeo, sconcertante per la sua semplicità, ma soprattutto per la sua funzionalità, una caratteristica che sarebbe stata il cavallo di battaglia della Mini per lunghissimi anni. Anche la prima serie della piccola utilitaria inglese, posta in vendita a 500 sterline nell’allestimento base, presenta, come del resto succede ancora oggi, alcuni difetti, cui si potrà porre rimedio solo col tempo. Per esempio, la ventilazione dell’abitacolo risulta praticamente inesistente, ma i finestrini scorrevoli delle porte hanno una loro ragione perchè fanno guadagnare spazio per i gomiti. Così, per far circolare un pò d’aria, bisogna aprire, su consiglio della Casa, anche quelli posteriori a compasso, presenti tra l’altro solo sulle versioni più accessoriate. Tuttavia, a causa della particolare carrozzeria della Mini, la depressione fa chiudere i vetri posteriori piuttosto che tenerli aperti, come ipotizzato e sperato dai progettisti. Con la pioggia, poi , è impossibile disappanare il parabrezza, per il semplice motivo che, per ridurre i costi, l’impianto d’aerazione è stato semplificato al massimo. Imbarazzanti sono anche i continui allagamenti del pavimento dopo un acquazzone, dovuti a una giuntura fra due stampi riprogettata dopo la rotazione del motore. Peccato che sia stata disegnata nel verso sbagliato, per cui finisce per raccogliere l’acqua piovana dalla strada e convogliarla nell’abitacolo, anzichè eliminarla verso l’esterno. Dopo tre mesi il problema viene comunque risolto con successo.
Altre difficoltà arrivano dall’olio per il motore che deve assolvere il gravoso compito di lubrificare non solo il propulsore stesso, ma anche il cambio. Con il risultato che occorre sostituirlo piuttosto spesso per evitare pericolosi e costosi danni alla trasmissione. Tuttavia, al di là di questi inevitabili problemi di gioventù, la Mini suscita l’entusiasmo della critica e della clientela più raffinata che ne apprezza lo stile inconfondibile tanto da farne un’auto di tendenza. Tra l’altro, la concorrenza non possiede le armi per affrontare con efficacia il fenomeno Mini: in Itali, per sempio, tra la 600 e la 1100 la Fiat non ha nulla e occorre attendere il 1964 per vedere la 850, che ha ancora il motore posteriore. L’Autobianchi A112 arriva solo nel 1969. La Ford punta tutto sulla nuova Anglia 105E del 1960. La Triumph, dal canto suo, nel 1959 lancia la Herald, una vettura molto classica. La Hillman, già parte del gruppo Rootes, nel 1963 presenta la Imp, con motore posteriore, dal comportamento imprevedibile soprattutto sul bagnato, mentre la Mini ha una stabilità a tutta prova. Anche la Simca preferisce il motore posteriore per la sua 1000 del 1962. La Renault segue la strada della trazione anteriore con la R4, che presenta caratteristiche ben diverse da quelle dell’utilitaria di Issigonis. Solo la Honda N con i motori da 360 e 600 cm3, ricalca in pieno lo stile Mini, ma la piccola giapponese non impensierisce la Casa inglese per l’esiguità dei suoi numeri.
Le vere concorrenti della Mini arrivano, come detto, solo negli anni Settanta con la Fiat 127, la Renault 5, la Ford Fiesta, la Volkswagen Polo e la Peugeot 104. Così la strada verso il successo è tutta in discesa: le due gemelle Austin e Morris non hanno rivali, grazie anche a contenuti tecnici di tutto rispetto. La vetturetta di Issigonis viene infatti presentata in due versioni e con due denominazioni: Austin Seven e Morris Mini Minor. La prima si distingue per la griglia ondulata (quella della Morris è a rete) per i cerchi copriruota e per la ricca gamma di colori ma tralasciando le differenze di allestimento, l’evoluzione dei due modelli procederà di pari passo. La mini e la Seven hanno dunque un’aria decisamente informale, che fa colpo, come commentano i critici d’epoca, per tutta una serie di piccoli accorgimenti che, pur non tradendo i canoni del British style, ne fanno delle vetturette moderne e adatte a diversi impieghi. A cominciare dai finestrini anteriori scorrevoli, fino alle simpatiche e caratteristiche cerniere esterne delle porte, passando per la lunga leva del cambio. Per avviare il motore occorre premere un pulsante sul pavimento. Peculiari sono anche lo strumento unico posto al centro della plancia e il pratico ripiano portaoggetti che sostituisce il cruscotto. Una soluzione ripresa nel 1980 da Giugiaro per la Panda, a conferma della sua modernità. Con un motore serie A di 848 cm3, cambio con la prima non sincronizzata, sospensioni con elementi di gomma e cerchi da 10″ (per i quali Dunlop deve realizzare pneumatici su misura), le prestazioni sono di tutto rispetto. Inizialmente la Morris Mini Minor è disponibile nelle versioni Standard e De Luxe, cui si aggiunge nel 1961 la Super, che utlizza per la prima volta il cruscotto ovale a tre strumenti (tachimetro, manometro olio, termometro acqua) al posto del semplice ma caretteristico indicatore tondo.
Dal 1962 anche la Austin adotta la denominazione Mini e viene commercializzata in due versioni: la Standard e la De Luxe, con allestimento superiore unificato. Nel 1964 viene introdotto il rivoluzionario, per l’epoca e per la fascia di prezzo della vettura, sistema di sospensioni Hydrolastic, derivato da quello della serie 1100. E’ anche l’occasione per rivedere la Mini in alcuni particolari: viene adottato un nuovo albero motore, i paraurti sono unificati per tutti gli allestimenti (con tubi di rinforzo), l’avviamento non è più a pulsante ma a chiave, debutta un nuovo impianto di riscaldamento e vengono migliorate le finiture. La prima serie totalizza 1575756 esemplari tra Austin e Morris, prodotti tra il 1959 e il 1967, anno in cui viene presentata la seconda serie (MKII)
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